“Tòfolo, dìto che mòra?” (Cristoforo, pensi che io muoia?) chiese con una certa preoccupazione il Bora al Bruno, che aveva preso il soprannome Tòfolo da suo bisnonno Cristoforo. Il Bora aveva la testa fasciata con un paio di mutandoni. Non aveva trovato altro. Al momento del boato gli era caduta una credenza con la vetrina sulla testa ed era dolorante, pieno di sangue, collo e testa tagliati da tutte le parti. Così fu uno dei primi feriti ad essere trasportato a Castelrotto su un carretto tirato da un mulo.
Mercoledì 25 Aprile 1945, alle dieci e mezza di sera circa, esplose la polveriera di Corrubio, dagli abitanti del posto chiamato “il Forte”. Era un deposito di munizioni, bombe, armi chimiche, materiali bellici e di approvvigionamento, ricavato all'interno delle vecchie cave di tufo esistenti sotto la collinetta di Sausto, dove io abito da trent'anni.
L'esplosione fu tremenda. La terra venne scossa violentemente.
Mezza collina, per un fronte di circa 100 metri, una profondità di 80 metri ed un'altezza di circa 30 metri (240 mila metri cubi di roccia di tufo), saltò per aria. Seguì una tempesta di macigni e poi una nuvola nera, soffocante. Una visione apocalittica, difficile da dimenticare per chi l'ha vissuta. E anche per chi la può solo immaginare.
Dopo, per più di un'ora, una pioggia di terra e sabbia dal cielo.
Corrubio e Sausto furono quasi rasi al suolo, morirono 28 persone civili e 7 militari tedeschi identificati, più circa altri 200 soldati tedeschi morti e non identificati, e altre persone e militari tedeschi morti nel confinante Comune di Pescantina, tra Settimo e i Balconi.
Dalle numerose testimonianze raccolte, è emerso che l'enorme fiammata uscita in seguito allo scoppio arrivò a bruciare qualche edificio della località Cà del Cora, 700 metri più a sud, mentre i macigni scagliati dall'esplosione hanno colpito e ucciso anche una donna a Settimo di Pescantina, sull'Adige, a circa due chilometri in linea d'aria dal Forte.
Domenica 25 Aprile 2010, nella baita dei pensionati il menu è il seguente: antipasto con salame locale, pancetta pure locale, porchetta e sottaceti comprati al supermercato. Molto buoni i salumi, non tantissimo la porchetta, normali i sottaceti. Da bere acqua liscia e gasata e bottiglie di Valpolicella Classico Il Picaro Villa Crine del 2009, 13°: colore rosso rubino intenso, gusto persistente al palato, profumo intenso e un po' speziato. Buono. In alternativa un rosso veronese IGT La Scuderia, sempre della Villa Crine, sempre del 2009 e sempre da 13°. Migliore del primo, colore quasi rosato, con un gusto intenso di amarena, morbido e leggermente amabile. Due primi: un risotto al tastasà l (con carne di maiale e pepe, gustoso, anche se leggermente troppo al dente per me) e penne all'arrabbiata (buone le ho assaggiate appena, perchè il risotto era una porzione doppia). Gulasch con kartoffeln di secondo (un po' duretto, ma con un ottimo condimento). Dessert con pasta frolla della Lessinia, semplicissima, buona. Poi caffè per chi lo vuole e resentìn. Abbiamo cantato “tanti auguri” alla signora che ha cotto il risotto al dente, perché compiva gli anni e tanto di cappello (e tanti cappelli) perché è venuta lì a servirci il giorno del suo compleanno.
Come spesso accade alla fine di una guerra, il 25 aprile non segnò qui il momento della pacificazione, ma l'inizio di un periodo di vendette e di violenze. Sul fronte opposto, molti furono coloro che diedero una mano per raccogliere e medicare feriti, italiani e tedeschi, per seppellire morti, che lavorarono per sgombrare le macerie nei mesi successivi. Spesso si notano di più le cose negative, mentre i gesti di altruismo fanno meno sensazione.
Quella del militare tedesco, morto nello scoppio dopo aver salvato molte famiglie a Sausto, è forse una delle storie più commoventi emersa dalle testimonianze, mai venuta alla luce prima o comunque rimasta sospesa, solo sussurrata da qualcuno nei rapporti interpersonali.
Molte persone, i figli e i nipoti di quegli abitanti di Sausto, oggi sono vivi anche grazie a lui.
Forse il soldato Georg era rimasto nella contrada di Sausto per amore, per essere certo che una ragazza italiana fosse al sicuro. Ma, certamente, molti altri suoi commilitoni se n'erano andati, l'esercito tedesco era in fuga, lui invece rimase lì e fece mettere in salvo molti civili di Sausto, dove abitavano 22 famiglie. Mediamente c'erano dai 4 ai 7 figli per famiglia e in qualche caso abitavano lì anche i nonni. Si trattava di circa 150 persone, le cui case vennero rase al suolo (anche se alcune di queste famiglie erano già andate via, perché avvisate da altri). Morirono 8 abitanti di Sausto, solo quelli che, deliberatamente, decisero di rimanere in casa.
Sia ben chiaro, nessuna voglia di revisionismo: raccontare la verità non può in alcun modo contribuire a giustificare una politica ed un'ideologia aberranti. E l'umanità finisce sempre col trovare il modo di emergere.
Tramite le testimonianze sono risalito al nome di questo soldato, ho scoperto dove è nato, ho contattato il Sindaco di quel Comune della Baviera che mi ha mandato una foto del soldato, poi riconosciuto dai testimoni del tempo ancora vivi. Sono stato in Germania dai suoi parenti a recuperare la sua ultima lettera alla mamma prima di morire, dove scrive di sperare che la guerra finisca presto, e la lettera del suo comandante, da cui risulta che non furono i soldati della Wehrmacht a far saltare la polveriera (molti di essi infatti morirono), ma corpi separati in quei momenti di grande confusione, con ogni probabilità le SS, con certezza non si saprà mai.
Oggi abbiamo invitato qui il Sindaco del suo paese, assieme ai parenti del soldato Georg, con una banda di fiati e una formazione di corni alpini, tutti in costume bavarese, che si sono esibite assieme alla nostra banda nella piazza principale, prima e dopo la Messa commemorativa.
Li abbiamo invitati qui a ricordare e a mangiare assieme. Il mangiare e il cantare/suonare come gesti significativi di riconciliazione e di amicizia.
Ricordare il passato per migliorare il domani, perché le guerre non devono più esistere.
“Ein prosit, ein prosit” l'abbiamo cantato assieme tra il primo e il secondo, con i bicchieri in mano. “Gute Freunde” (buoni amici) l'hanno suonato loro, con una marcetta invereconda di ottoni, ma piena di grande speranza per il futuro nostro e dei nostri figli.